Giovani al tempo del reality

«Normodotato, istruito, anagraficamente competitivo e, fino a prova contraria, clinicamente sano», Michele Botta, napoletano ventiseienne trapiantato a Roma, «laurea col massimo dei voti un anno di anticipo sul piano di studi e una tesi in semiotica», avrebbe tutte le carte in regola per essere parte della «futura classe dirigente»: un look da fighetto («jeans Volcom e giubbotto Carhartt») e un lavoro in una giovane casa di produzione televisiva («finalmente un contratto che è un contratto e non una borsa di studio, uno stage non pagato, una ritenuta d’ acconto, una consulenza farlocca»); certo, Michele preferirebbe qualcosa di meglio che seguire Qua la zampa!, il progetto di un reality su un canile romano con un papabile protagonista, il pitbull Piergiorgio, che «ha partecipato a varie megaproduzioni internazionali», conosce Will Smith, Vin Diesel e Martin Scorsese, e ha un cachet per una giornata di lavoro che «equivale almeno a un anno del mio stipendio (lordo)»; quello che consola Michele è sapere che sono lontani i tempi degli stage gratis a UnoMattina, quando ritornava a casa «con gli organi in subbuglio e la testa che mi scoppiava sotto la pressione dell’ ego di Luca Giurato che avevo inalato per dieci ore di fila»; eppure non è facile restare sani di mente se «cani di successo» guadagnano più di te, se sei costantemente a contatto con sceneggiatori frustrati e autrici molto bone che ti propongono improbabili format tv: perché «derelitti, ex tossici, massoni, ex terroristi, figli di parlamentari non riconosciuti, prima o poi tutti finiscono in televisione». Sul versante sentimentale non sorprende che il protagonista del primo romanzo del talentuoso Peppe Fiore, La futura classe dirigente (Minimum Fax, pagg. 404, 16 euro), sia in crisi nera con la fidanzata Francesca («Che ne sa lei di quello che significa lavorare sui format, i ritmi fordisti, l’ intelligenza al servizio dello stereotipo?»); meno male che c’ è il mentore Ennio, con cui Michele dialoga via web. Michele e Ennio, due facce di una sola medaglia: due pargoli della media borghesia italiana, predisposti per essere i dirigenti di domani da quattro genitori «in azione a trecento chilometri di distanza per perpetuare attraverso i figli i medesimi automatismi», corso di studi, laurea, lavoro, villetta ad Acilia, matrimonio, figliolanza, e via di seguito. Ma qualcosa non va come previsto: Ennio se n’ è già fuggito in Giappone e Michele è un serio candidato alla depressione bipolare, preda della gastrite, con improvvisi conati di vomito e «paranoia da accerchiamento». Insomma, la crisi e troppi Aperol stanno trasformando Michele Botta in «una foresta di sintomi»: patito dell’ autoerotismo e dei siti porno dedicati al posteriore; devoto al Dr. House, amato per la sua intimità con la sofferenza e la morte; un io ipertrofico che nella sua furente autoanalisi spacca il capello in quattro e il cuore in due (salvo poi non sapere più come ricomporlo); nevrotico, egotico, logorroico, pedante, megalomane, Botta è quasi un giovane Panofsky: durante un anno che va dalle primarie Pd per insediare Veltroni fino alla vittoria elettorale di Berlusconi, si ride dei suoi sfoghi di nervi, ci si appassiona alle sue avventure sessuali romane ma anche ai suoi ricordi napoletani. Poi, dopo aver dipinto alla perfezione e con una prosa spumeggiante la Crisi del Fighetto Moderno, l’ autore concede a Michele Botta un salvataggio in extremis allontanandolo da un destino preformattato. Certo, alla fine del libro si vorrebbe che questa classe dirigente arrivasse nel futuro più lontano possibile. Purtroppo sappiamo bene che il futuro è già qui: Peppe Fiore ce lo ha appena raccontato in tutta la demenzialità, con un romanzo-confessione spietatamente sincero che è un piccolo capolavoro da leggere, e da rileggere.

la Repubblica, 2 aprile 2009

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